IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 5227/00 proposto da Sica Raffaele, rappresentato e difeso dall'avv. Marco Cocilovo, con lo stesso elettivamente domiciliato in Napoli alla via Ponte di Tappia n. 82 presso lo studio dell'avv. Michele Di Gianni; Contro Comando Regione carabinieri Campania Nucleo relazioni con il pubblico, in persona del legale rappresentante pro-tempore, Direzione investigativa antimafia, Ufficio personale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria "ope legis", per l'annullamento del diniego parziale di accesso di cui alla nota prot. n. 6/2-9 Nu.R.P. notificata il 9/5/2000; degli atti ivi richiamati ed in particolare del messaggio n. 125/Pers/A prot. n. 1633/00 (recte: 16233) del 3/5/2000: del silenzio-rifiuto formatosi in ordine alla istanza di accesso ai restanti documenti ed alla istanza avanzata dal ricorrente in data 5 aprile 2000, nonche' per il riconoscimento del diritto di accesso ai documenti richiesti dal ricorrente e conseguente condanna dell'amministrazione alla esibizione degli stessi; Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la memoria di costituzione in giudizio della difesa erariale, con il relativo allegato; Visti gli atti tutti di causa; Alla camera di consiglio del 4 luglio 2000, relatore il cons. Donadono, uditi gli avvocati presenti di cui al verbale di udienza. F a t t o Con ricorso notificato il 23 maggio 2000, il ten. col. Raffaele Sica - ufficiale dell'Arma dei carabinieri - riferiva di aver richiesto, con atto istanza del 17 febbraio 2000, l'accesso ai seguenti documenti: atti relativi al procedimento di revoca dell'assegnazione del ricorrente alla Direzione investigativa antimafia, in quanto oggetto di giudizi pendenti innanzi al giudice amministrativo; fascicolo personale; altri atti, anche se classificati come segreti, che avrebbero avuto potenziale capacita' di incidere sulla carriera e sulla vicenda dell'interessato. Con nota prot. n. 125/PERS/A/10022/00 del 23 marzo 2000, l'ufficio del personale della DIA accoglieva l'istanza di accesso ed in data 5 aprile 2000, presso lo stesso ufficio, venivano consegnati vari documenti, tra i quali: foglio n. 125/PERS/A/32867/99 del 7 settembre 1999, in stralcio; foglio n. 125/PERS/A/36612/99 dell'8 ottobre 1999, in stralcio; foglio n. 125/PERS/A/1205/00 del 14 gennaio 2000, in stralcio. In proposito, i verbalizzanti dichiaravano che "nei suddetti atti sono state depennate le parti tuttora ritenute non accessibili ostando il segreto di indagine di cui all'art. 329 c.p.p.". Nella circostanza il ricorrente chiedeva una verifica di quanto riferito presso l'Autorita' giudiziaria, l'acquisizione in copia integrale dei suddetti documenti e di ogni ulteriore atto, classificato o meno, custodito da altre articolazioni della DIA nei termini e per i fini indicati nella istanza di accesso. Al riguardo, con nota prot. n. 6/2-9-Nu.R.P. del 9 maggio 2000, il Comando regione Campania comunicava che la DIA, con messaggio n. 125/Pers/A prot. n. 16233/00 del 3 maggio 2000 aveva disposto il diniego di accesso alla restante documentazione in forza del divieto posto dall'art. 329 c.p.p. A seguito di cio' il ricorrente proponeva le domande in epigrafe per il riconoscimento del diritto di accesso integrale a tutti i documenti richiesti, ai sensi e per gli effetti dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990. Le amministrazioni intimate si costituivano in giudizio resistendo al ricorso. D i r i t t o 1.1. - La DIA ha parzialmente respinto la domanda di accesso avanzata dal ricorrente nella parte in cui i documenti richiesti sarebbero coperti dall'obbligo di segreto previsto daIl'art. 329 c.p.p. 1.2. - In proposito il ricorrente deduce che: il diniego di accesso sarebbe illogico e contraddittorio, in quanto i documenti rilasciati in stralcio costituirebbero note inviate all'Avvocatura di Stato (nonche' al Dipartimento della pubblica sicurezza - Segreteria del Capo della sicurezza, al Comando generale dell'Arma ed al Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale del personale) per la difesa in giudizio dello Stato nei giudizi pendenti "inter partes" ed aventi ad oggetto l'impugnativa degli atti di revoca dell'assegnazione del ricorrente alla DIA; il segreto istruttorio non sussisterebbe in quanto non sarebbe affermato ne' dimostrato che sugli atti in questione siano state intraprese azioni giudiziarie; l'interessato non risulterebbe sottoposto ad alcun procedimento penale, ne' avrebbe mai ricevuto comunicazioni in proposito; sarebbe improbabile che le relazioni difensive possano costituire "atti di indagine" ai sensi dell'art. 329 c.p.p.; l'esito negativo della richiesta eluderebbe la richiesta avanzata dal ricorrente diretta ad ottenere una verifica in proposito presso l'Autorita' giudiziaria; l'ufficio del personale sarebbe incompetente ad eccepire il segreto di cui alla norma citata; il segreto istruttorio non giustificherebbe il diniego di accesso fino a quando (come nella specie) i documenti siano nella disponibilita' dell'amministrazione e non siano sottoposti a sequestro da parte del giudice penale; la DIA avrebbe gia' accolto senza riserva la domanda di accesso, per cui sarebbe illegittima la successiva reiezione parziale; il diniego di accesso relativamente ad atti utilizzati per la difesa dello Stato in altri giudizi violerebbe i diritti di difesa della controparte; l'obbligo di segreto, qualora sussistente, risulterebbe violato per effetto della comunicazione dei documenti in questione ai destinatari delle relazioni stesse; il ricorrente avrebbe un interesse qualificato giuridicamente rilevante all'accesso, a garanzia delle proprie posizioni di diritto e della propria personalita', coincidente con l'interesse pubblico alla trasparenza ed imparzialita' dell'azione amministrativa; l'amministrazione avrebbe altresi' disatteso la pretesa di accesso ad ogni ulteriore atto, classificato o meno, custodito da altre articolazioni della DIA nei termini e per i fini indicati nella istanza di accesso degli altri documenti richiesti. 1.3. - La difesa erariale obietta che: il diritto di accesso vantato dal ricorrente incontra un limite nelle esigenze di cui all'art. 24, comma 4, della legge n. 241 del 1990 nonche' all'art. 3, lettera d), del regolamento attuativo approvato con decreto ministeriale 10 maggio 1994, n. 415, evitando la divulgazione incontrollata e totale delle fonti e delle informazioni acquisite riguardanti le forze di polizia; le vicende penali che avrebbero coinvolto uno stretto parente del ricorrente sarebbero di per se' ostative all'accesso; il richiamo all'art. 329 c.p.p. sarebbe operato in via cautelativa dall'amministrazione e, se pure improprio, non invaliderebbe il rifiuto che troverebbe comunque fondamento nel citato decreto ministeriale; la divulgazione delle notizie riguardanti la vicenda sarebbe rimasta limitata ai rapporti interorganici della stessa amministrazione e sarebbe comunque giustificata dalle esigenze di difesa in giudizio dell'amministrazione. 2. - Giova subito rilevare che le argomentazioni formulate dalla difesa erariale, nella parte in cui richiamano l'applicabilita' della disciplina dettata dal decreto ministeriale n. 415 del 1994, comportano sostanzialmente una integrazione della motivazione degli atti impugnati. Tale regolamento, infatti, riguarda le ipotesi previste dell'art. 24, comma 2 e 4, della stessa legge n. 241, concernente le limitazioni del diritto di accesso connesse a superiori esigenze di interesse pubblico. Per contro gli atti di diniego che formano oggetto della materia del contendere sono giustificati dal mero riferimento ai limiti imposti dall'art. 329 c.p.p., e quindi pongono a sostegno del diniego di accesso una fattispecie rientrante nell'ambito dell'art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990, che esclude appunto l'accesso "nei casi di segreto ... previsti dall'ordinamento". Senonche', la pretesa all'accesso ha natura di interesse legittimo e la relativa tutela si realizza mediante un processo di tipo impugnatorio (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 24 giugno 1999, n. 16). La materia del contendere e' dunque delimitata dal contenuto dell'atto impugnato e dai motivi dedotti dall'interessato contro lo stesso. In tale contesto, la motivazione del provvedimento impugnato non puo' essere modificata o integrata da circostanze o argomentazioni estranee all'atto stesso che vengano allegate solo in sede di giudizio nell'ambito di una mera memoria difensiva (cfr. Cons. St., ad. plen., 17 novembre 1995, n. 30; sez. IV, 29 gennaio 1998, n. 102; sez. V, 14 ottobre 1998, n. 1463; sez. VI, 13 gennaio 1999, n. 10). 3. - In estrema sintesi, dunque. la controversia che forma oggetto del giudizio in esame verte sostanzialmente su due punti fondamentali. La prima questione riguarda la sussistenza in concreto dei presupposti per l'applicazione dell'art. 329 c.p.p.: al riguardo, il ricorrente dubita e contesta, in punto di fatto, che i documenti negati siano effettivamente classificabili tra quelli per i quali e' disposto l'obbligo di segreto. Qualora i citati documenti rientrino nel novero di quelli assoggettati ai vincoli dell'art. 329 c.p.p., la seconda questione sollevata consiste nello stabilire se, in punto di diritto, l'obbligo di segreto previsto dalla citata norma sia ostativo all'esercizio del diritto di accesso. 3.1. - Sulla prima questione, che risulta logicamente prioritaria, al momento si puo' solo osservare che gli "omissis" interessano le relazioni indirizzate dall'amministrazione all'Avvocatura dello Stato per resistere al contenzioso proposto dal ricorrente contro l'atto di revoca della propria assegnazione alla DIA. Al riguardo, se per un verso e' evidente che tali relazioni non costituiscono per loro natura "atti di indagine della polizia giudiziaria" alla stregua di quanto previsto dall'art. 329 c.p.p., per altro verso e' nondimeno evidente che le informazioni sugli atti di indagine contenute, per ipotesi, nelle citate relazioni (o ad esse allegate) sarebbero assoggettate allo stesso regime della norma in questione. Senonche', allo stato, dagli atti di causa, non emergono elementi idonei per affermare o per escludere che il contenuto delle parti "omesse" si riferisca effettivamente ad "atti di indagine", secondo quanto affermato nel provvedimento impugnato e contestato dal ricorrente. Infatti, l'interessato si e' limitato a produrre (ovviamente) i fogli ottenuti dall'amministrazione, coperti dagli "omissis". Dall'altra parte, le amministrazioni resistenti non hanno prodotto alcun documento; e dal suo canto, la difesa erariale mentre da una parte fa generico riferimento all'operato delle forze di polizia per l'accertamento dei fatti di reato, nonche' ad un procedimento penale pendente a carico di altro sognetto legato al ricorrente da vincoli di parentela (senza peraltro documentare che tutti gli atti negati e le parti coperte da "omissis" sono strettamente attinenti alle relative indagini penali), dall'altra riconosce che il richiamo all'art. 329 c.p.p. potrebbe essere "cautelativo" ed "improprio". Sotto tale profilo e' evidente che il giudizio non risulta maturo per la decisione e richiederebbe l'esecuzione di incombenti istruttori. 3.2. - Cio' induce ad esaminare per prima la seconda questione, e cioe' quella concernente la portata applicativa dell'obbligo del segreto imposto dall'art. 329 c.p.p. Infatti, se le doglianze dedotte dal ricorrente sull'argomento fossero fondate, non avrebbe rilevanza l'esecuzione di una interlocutoria. Orbene, l'art. 329 c.p.p. prevede al primo comma che "gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari"; in caso di necessita' per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero, con decreto motivato, puo' disporre di mantenere, anche oltre i termini di cui sopra, l'obbligo di segreto, nei limiti previsti dal successivo terzo comma dello stesso art. 329. Non vi e' dubbio che il precetto sancito dalla norma in esame rientra tra quelli richiamati dall'art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 e la sua vincolativa osservanza esclude la possibilita' di consentire l'accesso (cfr. Cons. St., sez. IV, 13 luglio 1998, n. 1091). Al riguardo la giurisprudenza invocata dal ricorrente non risulta pertinente al caso in esame. Infatti, le decisioni richiamate statuiscono essenzialmente il principio che un documento amministrativo, fino a quando resta nella disponibilita' dell'amministrazione e non sia sottoposto a sequestro dal giudice penale, non puo' essere sottratto all'accesso per il solo fatto che lo stesso abbia attinenza con fatti suscettibili di rilevanza penale o che abbia formato oggetto di una denuncia (cfr. Cons. St. ad. plen., 28 aprile 1999, n. 6; sez. IV, 28 ottobre 1996, n. 1170; nonche' questo stesso tribunale amministrativo regionale della Campania, sez. I, 23 febbraio 1995, n. 38). In definitiva le suddette decisioni non mostrano di essere riferibili all'accesso relativo ad "atti di indagine" in senso proprio, e cioe' agli atti compiuti da un organo di polizia giudiziaria, ma piuttosto a documenti di una pubblica amministrazione, aventi una qualche pertinenza con un reato, i quali certamente, per tale loro attinenza, non costituiscono "atti di indagine della polizia giudiziaria", ma possono tutt'al piu' formare oggetto di sequestro. Diverso e' il caso in esame, nel quale sono intimati in giudizio la Direzione investigativa antimafia ed il Comando generale dell'Arma dei carabinieri, qualora venga in discussione il loro operato nella qualita' di organi investigativi. 4. - Ne consegue che la soluzione del presente ricorso dipende unicamente dall'accertamento in ordine alla natura ed al contenuto degli atti dei quali e' negato l'accesso, poiche' se (e nella misura in cui) tali documenti sono qualificabili come "atti di indagine della polizia giudiziaria" l'impugnativa andrebbe respinta, laddove andrebbe invece accolta qualora si rivelasse insussistente il presupposto di fatto allegato a sostegno dell'impugnato diniego di accesso. In proposito si e' gia' detto che la documentazione di causa non consente di risolvere la controversia e che occorrerebbe. pertanto, l'effettuazione di adempimenti istruttori tendenti ad acclarare essenzialmente il contenuto e la natura degli atti segretati. Senonche' va rilevato che nessuno degli strumenti istruttori previsti dall'ordinamento processuale amministrativo puo' essere esperito per verificare la sussistenza del presupposto asserito dall'amministrazione. Infatti, qualora effettivamente si tratti di atti coperti dal segreto, la esecuzione dell'incombente istruttorio determinerebbe esso stesso la violazione dell'obbligo di segreto. E cio' sia per il fatto che l'attivita' istruttoria, nel processo amministrativo (cosi' come in quello civile) e' per sua natura ispirata al principio fondamentale del contraddittorio, che presuppone la disponibilita' di tutto il materiale processuale per le parti del giudizio: sia per il fatto che anche lo stesso giudice amministrativo e' escluso dalla possibilita' di venire a conoscenza di atti che siano coperti dall'obbligo di segreto ex art. 329. Tuttavia va rilevato che l'ordinamento non manca di prevedere ipotesi nelle quali e' consentita la deroga al segreto istruttorio. In particolare l'art. 117 c.p.p. prevede che, quando e' necessario per il compimento delle proprie indagini, il pubblico ministero possa ottenere dall'autorita' giudiziaria competente, anche in deroga al divieto stabilito dall'art. 329, copie di atti relativi ad altri procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto (nel contempo e' fatta salva la potesta' dell'autorita' giudiziaria destinataria della richiesta di respingerla con decreto motivato). Orbene non si palesa manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 117 c.p.p. nella parte in cui non prevede che anche il giudice amministrativo, quando e' necessario per il compimento di attivita' istruttorie nel processo amministrativo, possa rivolgersi all'autorita' giudiziaria competente per acquisire copie di atti e/o informazioni; e cio' allo scopo essenzialmente di verificare la sussistenza stessa e la portata dell'obbligo di segreto. In particolare la disposizione impugnata risulta in contrasto: con l'art. 24, comma 1 e 2, Cost., nella parte in cui garantisce il diritto di difesa in sede giurisdizionale per la tutela dei diritti e degli interessi legittimi; con l'art. 113, comma 1 e 2, Cost., nella parte in cui prescrive che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa e non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; con l'art. 3, primo comma, Cost., nella parte in cui consacra il principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza. 4.1. - Sul primo punto e' da osservare che l'assenza di qualsiasi strumento processuale atto a verificare la veridicita' o meno di una asserzione formulata dall'autorita' resistente, comporta uno squilibrio tra le parti del processo ed, in definitiva, impedisce la tutela delle posizioni giuridiche soggettive eventualmente lese dall'amministrazione in base a presupposti di fatto non dimostrati e non dimostrabili, con violazione dei diritti garantiti dall'art. 24 della Costituzione. 4.2. - Sul secondo punto, va rilevato che l'impossibilita' nella specie di accertamenti istruttori rende nella sostanza non sindacabile, in sede giurisdizionale, il diniego di accesso, almeno per quanto riguarda la deduzione di vizi di legittimita' per eccesso di potere consistente nell'errore dei presupposti o nel travisamento dei fatti che abbiano dato luogo alla falsa applicazione dell'art. 329 c.p.p.; il che contrasta con l'art. 113 della Costituzione. 4.3. - Sul terzo punto, non sembra ragionevole che la norma impugnata consenta una deroga ai precetti posti dall'art. 329 solo per necessita' connesse all'esercizio della giustizia penale e non anche per altre esigenze di giustizia, aventi pari valore ed importanza, quando e purche' ovviamente non vi siano pregiudizi per l'attivita' investigativa. A tale scopo l'art. 117 contempla appunto uno strumento che riesce a contemperare le diverse occorrenze, demandando all'autorita' giudiziaria competente la potesta' di assumere le decisioni in merito al bilanciamento di eventuali esigenze contrapposte. A fronte di cio' si palesa irragionevole che il medesimo strumento non sia concesso per le necessita' della giustizia amministrativa. E' opportuno soggiungere che l'ampia potesta' discrezionale del legislatore nella conformazione degli istituti processuali e nella predisposizione di strumenti di tutela differenziati (cfr., ad es., Corte cost., 26 febbraio 1998, n. 31; 23 dicembre 1997, n. 433; 29 dicembre 1988, n. 1162) incontra nondimeno dei limiti, oltre che ovviamente nella necessita' di osservare i principi ed i precetti costituzionali in materia di tutela giurisdizionale, anche nell'esigenza di non adottare soluzioni manifestamente irrazionali (cfr., con particolare riferimento al processo amministrativo, Corte cost., 28 giugno 1985, n. 190; 23 aprile 1987, n. 146). Inoltre, dall'attuale assetto normativo, emerge una ingiustificata ed irragionevole disparita' di trattamento dei soggetti destinatari di atti amministrativi emanati da autorita' amministrative che siano investite anche di compiti di polizia giudiziaria, nella misura in cui queste ultime verrebbero a godere, anche quando agiscono nella qualita' di una pubblica amministrazione, di prerogative che non troverebbero effettiva giustificazione nella particolare natura della loro attivita' in materia di accertamento e repressione dei reati. 5. - Le prospettate questioni di legittimita' costituzionale sono altresi' rilevanti. Infatti, allo stato, il collegio: non puo' accogliere il ricorso, poiche' non emergono elementi per vincere la presunzione di legittimita' dell'atto amministrativo impugnato, il quale asserisce la sussistenza dell'obbligo di segreto come presupposto del diniego; non puo' respingere il ricorso, in quanto non e' imputabile al ricorrente l'inadempienza ad un onere probatorio, posto che tale onere non sussiste nel processo amministrativo, qualora si tratti della dimostrazione di fatti e circostanze che (come e' palese nella specie) non sono nella disponibilita' dell'interessato, ma che rientrano nel dominio dell'amministrazione; non puo' esercitare il potere acquisitivo (attribuito dalla legge al giudice amministrativo proprio per sopperire allo squilibrio, normalmente esistente nel processo amministrativo, tra la parte pubblica e quella privata nella disponibilita' del materiale utile ai fini della decisione), atteso che l'esecuzione dell'istruttoria (ed in particolare l'ordine di acquisizione dei documenti) potrebbe comportare la divulgazione di informazioni coperte da segreto, laddove l'obbligo di segreto e' vincolante per l'amministrazione resistente e non e' derogabile dal giudice amministrativo e nei confronti del giudice amministrativo. Sicche', allo stato, il collegio non sarebbe nella condizione di assumere alcuna determinazione e neppure potrebbe (come e' ovvio) emettere una pronuncia di non liquet. 6. - Per gli stessi motivi sopra esposti risultano rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 25, comma 5, della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui non prevede la possibilita' per il giudice amministrativo - chiamato a decidere sulla legittimita' dell'operato dell'amministrazione in tutti i casi di diniego di accesso, ivi compresi quelli previsti dall'art. 24, comma 1, della stessa legge n. 241 - di acquisire atti ed informazioni dall'autorita' giudiziaria competente, ai sensi dell'art. 117 c.p.p. ed in deroga al divieto posto dall'art. 329 c.p.p., al fine di accertare la sussistenza effettiva del segreto opposto dall'autorita' amministrativa a fondamento del proprio rifiuto; dell'art. 44, comma 1, del regio-decreto n. 1054 del 1924, applicabile nei giudizi innanzi ai tribunali amministrativi regionali in forza del rinvio operato dall'art. 19 della legge n. 1034 del 1971, nella parte in cui non prevede la possibilita' per il giudice amministrativo di acquisire atti ed informazioni dall'autorita' giudiziaria competente, ai sensi dell'art. 117 c.p.p. ed in deroga al divieto posto dall'art. 329 c.p.p., al fine di decidere una controversia rientrante nella propria giurisdizione. 7. - Tutto cio' considerato, va disposta la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per la decisione sulle questioni pregiudiziali di legittimita' costituzionale, siccome rilevanti e non manifestamente infondate, mandando la segreteria per gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.