IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 5227/00
  proposto  da  Sica Raffaele, rappresentato e difeso dall'avv. Marco
  Cocilovo,  con  lo  stesso elettivamente domiciliato in Napoli alla
  via  Ponte  di  Tappia  n. 82 presso lo studio dell'avv. Michele Di
  Gianni;
    Contro  Comando Regione carabinieri Campania Nucleo relazioni con
  il  pubblico,  in  persona  del  legale rappresentante pro-tempore,
  Direzione  investigativa  antimafia,  Ufficio personale, in persona
  del  legale  rappresentante  pro-tempore,  rappresentati  e  difesi
  dall'Avvocatura  distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria
  "ope  legis", per l'annullamento del diniego parziale di accesso di
  cui  alla nota prot. n. 6/2-9 Nu.R.P. notificata il 9/5/2000; degli
  atti  ivi  richiamati ed in particolare del messaggio n. 125/Pers/A
  prot.  n. 1633/00 (recte: 16233) del 3/5/2000: del silenzio-rifiuto
  formatosi  in  ordine alla istanza di accesso ai restanti documenti
  ed  alla  istanza  avanzata  dal  ricorrente in data 5 aprile 2000,
  nonche'  per  il riconoscimento del diritto di accesso ai documenti
  richiesti     dal     ricorrente     e     conseguente     condanna
  dell'amministrazione alla esibizione degli stessi;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Vista  la  memoria  di  costituzione  in  giudizio  della  difesa
  erariale, con il relativo allegato;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Alla  camera  di  consiglio  del 4 luglio 2000, relatore il cons.
  Donadono, uditi gli avvocati presenti di cui al verbale di udienza.

                              F a t t o

    Con  ricorso  notificato il 23 maggio 2000, il ten. col. Raffaele
  Sica  -  ufficiale  dell'Arma  dei  carabinieri  - riferiva di aver
  richiesto,  con  atto  istanza  del  17 febbraio 2000, l'accesso ai
  seguenti documenti:
        atti relativi al procedimento di revoca dell'assegnazione del
  ricorrente   alla  Direzione  investigativa  antimafia,  in  quanto
  oggetto di giudizi pendenti innanzi al giudice amministrativo;
        fascicolo personale;
        altri atti, anche se classificati come segreti, che avrebbero
  avuto  potenziale  capacita'  di  incidere  sulla  carriera e sulla
  vicenda dell'interessato.
    Con   nota   prot.   n. 125/PERS/A/10022/00  del  23 marzo  2000,
  l'ufficio  del  personale della DIA accoglieva l'istanza di accesso
  ed  in  data  5 aprile  2000,  presso  lo  stesso ufficio, venivano
  consegnati vari documenti, tra i quali:
        foglio   n. 125/PERS/A/32867/99   del  7 settembre  1999,  in
  stralcio;
        foglio   n. 125/PERS/A/36612/99   dell'8 ottobre   1999,   in
  stralcio;
        foglio   n. 125/PERS/A/1205/00   del   14 gennaio   2000,  in
  stralcio.
    In proposito, i verbalizzanti dichiaravano che "nei suddetti atti
  sono  state  depennate  le  parti  tuttora ritenute non accessibili
  ostando il segreto di indagine di cui all'art. 329 c.p.p.".
    Nella  circostanza  il ricorrente chiedeva una verifica di quanto
  riferito  presso  l'Autorita'  giudiziaria, l'acquisizione in copia
  integrale   dei  suddetti  documenti  e  di  ogni  ulteriore  atto,
  classificato o meno, custodito da altre articolazioni della DIA nei
  termini  e  per  i  fini  indicati  nella  istanza  di  accesso. Al
  riguardo,  con  nota  prot.  n. 6/2-9-Nu.R.P. del 9 maggio 2000, il
  Comando  regione  Campania  comunicava  che  la  DIA, con messaggio
  n. 125/Pers/A prot. n. 16233/00 del 3 maggio 2000 aveva disposto il
  diniego  di  accesso  alla  restante  documentazione  in  forza del
  divieto posto dall'art. 329 c.p.p.
    A  seguito di cio' il ricorrente proponeva le domande in epigrafe
  per  il  riconoscimento  del diritto di accesso integrale a tutti i
  documenti  richiesti, ai sensi e per gli effetti dell'art. 25 della
  legge n. 241 del 1990.
    Le   amministrazioni   intimate   si   costituivano  in  giudizio
  resistendo al ricorso.

                            D i r i t t o

    1.1. - La  DIA  ha  parzialmente  respinto  la domanda di accesso
  avanzata  dal  ricorrente  nella parte in cui i documenti richiesti
  sarebbero  coperti  dall'obbligo  di segreto previsto daIl'art. 329
  c.p.p.
    1.2. - In proposito il ricorrente deduce che:
        il  diniego di accesso sarebbe illogico e contraddittorio, in
  quanto  i  documenti  rilasciati  in  stralcio costituirebbero note
  inviate  all'Avvocatura  di  Stato  (nonche'  al Dipartimento della
  pubblica  sicurezza  -  Segreteria  del  Capo  della  sicurezza, al
  Comando  generale  dell'Arma  ed  al  Dipartimento  della  pubblica
  sicurezza  -  Direzione  centrale  del  personale) per la difesa in
  giudizio  dello Stato nei giudizi pendenti "inter partes" ed aventi
  ad oggetto l'impugnativa degli atti di revoca dell'assegnazione del
  ricorrente alla DIA;
        il  segreto  istruttorio  non  sussisterebbe  in  quanto  non
  sarebbe  affermato ne' dimostrato che sugli atti in questione siano
  state intraprese azioni giudiziarie; l'interessato non risulterebbe
  sottoposto  ad  alcun procedimento penale, ne' avrebbe mai ricevuto
  comunicazioni in proposito;
        sarebbe   improbabile  che  le  relazioni  difensive  possano
  costituire "atti di indagine" ai sensi dell'art. 329 c.p.p.;
        l'esito  negativo  della  richiesta  eluderebbe  la richiesta
  avanzata  dal  ricorrente  diretta  ad  ottenere  una  verifica  in
  proposito presso l'Autorita' giudiziaria;
        l'ufficio  del  personale sarebbe incompetente ad eccepire il
  segreto di cui alla norma citata;
        il  segreto  istruttorio  non  giustificherebbe il diniego di
  accesso  fino  a quando (come nella specie) i documenti siano nella
  disponibilita'   dell'amministrazione  e  non  siano  sottoposti  a
  sequestro da parte del giudice penale;
        la  DIA  avrebbe  gia'  accolto  senza  riserva la domanda di
  accesso,  per  cui  sarebbe  illegittima  la  successiva  reiezione
  parziale;
        il diniego di accesso relativamente ad atti utilizzati per la
  difesa  dello Stato in altri giudizi violerebbe i diritti di difesa
  della controparte;
        l'obbligo   di  segreto,  qualora  sussistente,  risulterebbe
  violato  per effetto della comunicazione dei documenti in questione
  ai destinatari delle relazioni stesse;
        il ricorrente avrebbe un interesse qualificato giuridicamente
  rilevante  all'accesso,  a  garanzia  delle  proprie  posizioni  di
  diritto  e  della propria personalita', coincidente con l'interesse
  pubblico    alla    trasparenza    ed   imparzialita'   dell'azione
  amministrativa;
        l'amministrazione  avrebbe  altresi'  disatteso la pretesa di
  accesso  ad  ogni ulteriore atto, classificato o meno, custodito da
  altre  articolazioni  della  DIA  nei termini e per i fini indicati
  nella istanza di accesso degli altri documenti richiesti.
    1.3. - La difesa erariale obietta che:
        il  diritto  di  accesso  vantato  dal ricorrente incontra un
  limite  nelle  esigenze  di  cui  all'art. 24, comma 4, della legge
  n. 241  del  1990  nonche'  all'art. 3, lettera d), del regolamento
  attuativo   approvato  con  decreto  ministeriale  10 maggio  1994,
  n. 415, evitando la divulgazione incontrollata e totale delle fonti
  e delle informazioni acquisite riguardanti le forze di polizia;
        le vicende penali che avrebbero coinvolto uno stretto parente
  del ricorrente sarebbero di per se' ostative all'accesso;
        il  richiamo  all'art. 329  c.p.p.  sarebbe  operato  in  via
  cautelativa   dall'amministrazione   e,   se  pure  improprio,  non
  invaliderebbe  il  rifiuto  che  troverebbe comunque fondamento nel
  citato decreto ministeriale;
        la  divulgazione delle notizie riguardanti la vicenda sarebbe
  rimasta   limitata   ai   rapporti   interorganici   della   stessa
  amministrazione  e  sarebbe comunque giustificata dalle esigenze di
  difesa in giudizio dell'amministrazione.

    2. - Giova  subito rilevare che le argomentazioni formulate dalla
  difesa  erariale,  nella  parte  in cui richiamano l'applicabilita'
  della  disciplina dettata dal decreto ministeriale n. 415 del 1994,
  comportano sostanzialmente una integrazione della motivazione degli
  atti  impugnati.  Tale  regolamento,  infatti,  riguarda le ipotesi
  previste  dell'art. 24,  comma  2  e  4, della stessa legge n. 241,
  concernente  le  limitazioni  del  diritto  di  accesso  connesse a
  superiori esigenze di interesse pubblico.
    Per  contro gli atti di diniego che formano oggetto della materia
  del  contendere  sono  giustificati  dal mero riferimento ai limiti
  imposti  dall'art. 329  c.p.p.,  e  quindi  pongono  a sostegno del
  diniego   di   accesso   una   fattispecie  rientrante  nell'ambito
  dell'art. 24,  comma  1,  della  legge n. 241 del 1990, che esclude
  appunto    l'accesso    "nei   casi   di   segreto   ...   previsti
  dall'ordinamento".  Senonche',  la pretesa all'accesso ha natura di
  interesse  legittimo  e  la relativa tutela si realizza mediante un
  processo  di tipo impugnatorio (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen.,
  24 giugno  1999,  n. 16).  La  materia  del  contendere  e'  dunque
  delimitata  dal  contenuto dell'atto impugnato e dai motivi dedotti
  dall'interessato contro lo stesso. In tale contesto, la motivazione
  del  provvedimento impugnato non puo' essere modificata o integrata
  da  circostanze  o  argomentazioni  estranee  all'atto  stesso  che
  vengano  allegate  solo in sede di giudizio nell'ambito di una mera
  memoria  difensiva  (cfr.  Cons.  St., ad. plen., 17 novembre 1995,
  n. 30;  sez.  IV, 29 gennaio 1998, n. 102; sez. V, 14 ottobre 1998,
  n. 1463; sez. VI, 13 gennaio 1999, n. 10).

    3. - In  estrema  sintesi,  dunque.  la  controversia  che  forma
  oggetto  del  giudizio  in esame verte sostanzialmente su due punti
  fondamentali.
    La  prima  questione  riguarda  la  sussistenza  in  concreto dei
  presupposti  per  l'applicazione dell'art. 329 c.p.p.: al riguardo,
  il ricorrente dubita e contesta, in punto di fatto, che i documenti
  negati  siano  effettivamente classificabili tra quelli per i quali
  e' disposto l'obbligo di segreto.
    Qualora  i  citati  documenti  rientrino  nel  novero  di  quelli
  assoggettati  ai vincoli dell'art. 329 c.p.p., la seconda questione
  sollevata  consiste  nello  stabilire  se,  in  punto  di  diritto,
  l'obbligo  di  segreto  previsto  dalla  citata  norma sia ostativo
  all'esercizio del diritto di accesso.
    3.1.   -   Sulla   prima   questione,   che  risulta  logicamente
  prioritaria,  al  momento  si puo' solo osservare che gli "omissis"
  interessano    le    relazioni   indirizzate   dall'amministrazione
  all'Avvocatura  dello  Stato  per resistere al contenzioso proposto
  dal  ricorrente  contro l'atto di revoca della propria assegnazione
  alla DIA.
    Al  riguardo,  se per un verso e' evidente che tali relazioni non
  costituiscono  per  loro  natura  "atti  di  indagine della polizia
  giudiziaria"  alla stregua di quanto previsto dall'art. 329 c.p.p.,
  per  altro  verso  e'  nondimeno evidente che le informazioni sugli
  atti  di indagine contenute, per ipotesi, nelle citate relazioni (o
  ad  esse  allegate) sarebbero assoggettate allo stesso regime della
  norma in questione.
    Senonche', allo stato, dagli atti di causa, non emergono elementi
  idonei  per  affermare o per escludere che il contenuto delle parti
  "omesse" si riferisca effettivamente ad "atti di indagine", secondo
  quanto  affermato  nel  provvedimento  impugnato  e  contestato dal
  ricorrente.
    Infatti,  l'interessato  si e' limitato a produrre (ovviamente) i
  fogli ottenuti dall'amministrazione, coperti dagli "omissis".
    Dall'altra   parte,   le  amministrazioni  resistenti  non  hanno
  prodotto  alcun  documento;  e  dal  suo  canto, la difesa erariale
  mentre da una parte fa generico riferimento all'operato delle forze
  di  polizia  per  l'accertamento  dei fatti di reato, nonche' ad un
  procedimento  penale  pendente a carico di altro sognetto legato al
  ricorrente  da vincoli di parentela (senza peraltro documentare che
  tutti  gli  atti  negati  e  le  parti  coperte  da  "omissis" sono
  strettamente  attinenti  alle relative indagini penali), dall'altra
  riconosce  che  il  richiamo  all'art.  329  c.p.p. potrebbe essere
  "cautelativo" ed "improprio".
    Sotto tale profilo e' evidente che il giudizio non risulta maturo
  per   la  decisione  e  richiederebbe  l'esecuzione  di  incombenti
  istruttori.
    3.2. - Cio' induce ad esaminare per prima la seconda questione, e
  cioe'  quella  concernente  la portata applicativa dell'obbligo del
  segreto  imposto  dall'art. 329  c.p.p.  Infatti,  se  le doglianze
  dedotte  dal ricorrente sull'argomento fossero fondate, non avrebbe
  rilevanza l'esecuzione di una interlocutoria.
    Orbene, l'art. 329 c.p.p. prevede al primo comma che "gli atti di
  indagine   compiuti   dal   pubblico   ministero  e  dalla  polizia
  giudiziaria  sono  coperti dal segreto fino a quando l'imputato non
  ne  possa  avere conoscenza e, comunque non oltre la chiusura delle
  indagini  preliminari";  in  caso di necessita' per la prosecuzione
  delle  indagini,  il pubblico ministero, con decreto motivato, puo'
  disporre  di  mantenere,  anche  oltre  i  termini  di  cui  sopra,
  l'obbligo  di  segreto,  nei  limiti  previsti dal successivo terzo
  comma  dello  stesso  art. 329.  Non  vi  e' dubbio che il precetto
  sancito   dalla  norma  in  esame  rientra  tra  quelli  richiamati
  dall'art.  24,  comma  1,  della  legge  n. 241  del  1990 e la sua
  vincolativa   osservanza  esclude  la  possibilita'  di  consentire
  l'accesso (cfr. Cons. St., sez. IV, 13 luglio 1998, n. 1091).
    Al riguardo la giurisprudenza invocata dal ricorrente non risulta
  pertinente  al  caso  in  esame.  Infatti,  le decisioni richiamate
  statuiscono   essenzialmente   il   principio   che   un  documento
  amministrativo,   fino   a   quando   resta   nella  disponibilita'
  dell'amministrazione  e  non sia sottoposto a sequestro dal giudice
  penale, non puo' essere sottratto all'accesso per il solo fatto che
  lo  stesso  abbia  attinenza  con  fatti  suscettibili di rilevanza
  penale  o che abbia formato oggetto di una denuncia (cfr. Cons. St.
  ad. plen., 28 aprile 1999, n. 6; sez. IV, 28 ottobre 1996, n. 1170;
  nonche'  questo  stesso  tribunale  amministrativo  regionale della
  Campania, sez. I, 23 febbraio 1995, n. 38).
    In  definitiva  le  suddette  decisioni  non  mostrano  di essere
  riferibili  all'accesso  relativo  ad  "atti  di indagine" in senso
  proprio,  e  cioe'  agli  atti  compiuti  da  un  organo di polizia
  giudiziaria,   ma   piuttosto   a   documenti   di   una   pubblica
  amministrazione,  aventi  una  qualche  pertinenza  con un reato, i
  quali  certamente, per tale loro attinenza, non costituiscono "atti
  di  indagine  della  polizia  giudiziaria", ma possono tutt'al piu'
  formare oggetto di sequestro.
    Diverso  e' il caso in esame, nel quale sono intimati in giudizio
  la   Direzione  investigativa  antimafia  ed  il  Comando  generale
  dell'Arma  dei  carabinieri,  qualora  venga in discussione il loro
  operato nella qualita' di organi investigativi.

    4. - Ne  consegue  che  la soluzione del presente ricorso dipende
  unicamente  dall'accertamento in ordine alla natura ed al contenuto
  degli  atti  dei  quali  e'  negato  l'accesso, poiche' se (e nella
  misura  in  cui)  tali  documenti  sono qualificabili come "atti di
  indagine   della   polizia   giudiziaria"   l'impugnativa  andrebbe
  respinta,  laddove  andrebbe  invece  accolta  qualora si rivelasse
  insussistente   il   presupposto   di  fatto  allegato  a  sostegno
  dell'impugnato diniego di accesso.
    In  proposito si e' gia' detto che la documentazione di causa non
  consente di risolvere la controversia e che occorrerebbe. pertanto,
  l'effettuazione  di  adempimenti  istruttori  tendenti ad acclarare
  essenzialmente il contenuto e la natura degli atti segretati.
    Senonche'  va  rilevato  che  nessuno  degli strumenti istruttori
  previsti  dall'ordinamento  processuale  amministrativo puo' essere
  esperito  per  verificare  la  sussistenza del presupposto asserito
  dall'amministrazione.  Infatti, qualora effettivamente si tratti di
  atti coperti dal segreto, la esecuzione dell'incombente istruttorio
  determinerebbe esso stesso la violazione dell'obbligo di segreto. E
  cio'  sia  per  il  fatto che l'attivita' istruttoria, nel processo
  amministrativo  (cosi'  come  in  quello  civile) e' per sua natura
  ispirata   al   principio  fondamentale  del  contraddittorio,  che
  presuppone  la disponibilita' di tutto il materiale processuale per
  le parti del giudizio: sia per il fatto che anche lo stesso giudice
  amministrativo e' escluso dalla possibilita' di venire a conoscenza
  di atti che siano coperti dall'obbligo di segreto ex art. 329.
    Tuttavia  va  rilevato  che  l'ordinamento non manca di prevedere
  ipotesi nelle quali e' consentita la deroga al segreto istruttorio.
  In  particolare l'art. 117 c.p.p. prevede che, quando e' necessario
  per  il  compimento  delle  proprie indagini, il pubblico ministero
  possa  ottenere  dall'autorita'  giudiziaria  competente,  anche in
  deroga  al  divieto stabilito dall'art. 329, copie di atti relativi
  ad  altri  procedimenti  penali  e  informazioni  scritte  sul loro
  contenuto  (nel  contempo e' fatta salva la potesta' dell'autorita'
  giudiziaria destinataria della richiesta di respingerla con decreto
  motivato).
    Orbene  non  si  palesa  manifestamente infondata la questione di
  legittimita' costituzionale dell'art. 117 c.p.p. nella parte in cui
  non   prevede  che  anche  il  giudice  amministrativo,  quando  e'
  necessario  per il compimento di attivita' istruttorie nel processo
  amministrativo,    possa   rivolgersi   all'autorita'   giudiziaria
  competente  per  acquisire  copie  di atti e/o informazioni; e cio'
  allo  scopo essenzialmente di verificare la sussistenza stessa e la
  portata dell'obbligo di segreto.
    In particolare la disposizione impugnata risulta in contrasto:
        con  l'art. 24,  comma  1  e  2,  Cost.,  nella  parte in cui
  garantisce  il  diritto  di  difesa  in sede giurisdizionale per la
  tutela dei diritti e degli interessi legittimi;
        con  l'art. 113,  comma  1  e  2,  Cost.,  nella parte in cui
  prescrive  che  la  tutela  giurisdizionale  contro  gli atti della
  pubblica  amministrazione  e'  sempre  ammessa  e  non  puo' essere
  esclusa  o  limitata  a  particolari  mezzi  di  impugnazione o per
  determinate categorie di atti;
        con l'art. 3, primo comma, Cost., nella parte in cui consacra
  il principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza.
    4.1. - Sul primo punto e' da osservare che l'assenza di qualsiasi
  strumento  processuale  atto  a verificare la veridicita' o meno di
  una  asserzione  formulata  dall'autorita' resistente, comporta uno
  squilibrio  tra  le parti del processo ed, in definitiva, impedisce
  la  tutela delle posizioni giuridiche soggettive eventualmente lese
  dall'amministrazione  in base a presupposti di fatto non dimostrati
  e   non   dimostrabili,   con   violazione  dei  diritti  garantiti
  dall'art. 24 della Costituzione.
    4.2.  - Sul secondo punto, va rilevato che l'impossibilita' nella
  specie   di   accertamenti  istruttori  rende  nella  sostanza  non
  sindacabile, in sede giurisdizionale, il diniego di accesso, almeno
  per  quanto  riguarda  la  deduzione  di  vizi  di legittimita' per
  eccesso  di  potere  consistente  nell'errore dei presupposti o nel
  travisamento   dei   fatti   che  abbiano  dato  luogo  alla  falsa
  applicazione  dell'art. 329 c.p.p.; il che contrasta con l'art. 113
  della Costituzione.
    4.3.  -  Sul  terzo  punto,  non  sembra ragionevole che la norma
  impugnata  consenta una deroga ai precetti posti dall'art. 329 solo
  per  necessita' connesse all'esercizio della giustizia penale e non
  anche  per  altre  esigenze  di  giustizia,  aventi  pari valore ed
  importanza, quando e purche' ovviamente non vi siano pregiudizi per
  l'attivita'  investigativa.  A  tale  scopo  l'art.  117  contempla
  appunto   uno  strumento  che  riesce  a  contemperare  le  diverse
  occorrenze,  demandando  all'autorita'  giudiziaria  competente  la
  potesta'  di  assumere  le  decisioni in merito al bilanciamento di
  eventuali  esigenze  contrapposte.  A  fronte  di  cio'  si  palesa
  irragionevole  che  il  medesimo  strumento non sia concesso per le
  necessita' della giustizia amministrativa.
    E'  opportuno  soggiungere che l'ampia potesta' discrezionale del
  legislatore  nella conformazione degli istituti processuali e nella
  predisposizione di strumenti di tutela differenziati (cfr., ad es.,
  Corte  cost.,  26 febbraio  1998,  n. 31; 23 dicembre 1997, n. 433;
  29 dicembre 1988, n. 1162) incontra nondimeno dei limiti, oltre che
  ovviamente  nella  necessita' di osservare i principi ed i precetti
  costituzionali   in   materia   di  tutela  giurisdizionale,  anche
  nell'esigenza  di non adottare soluzioni manifestamente irrazionali
  (cfr.,  con  particolare  riferimento  al  processo amministrativo,
  Corte cost., 28 giugno 1985, n. 190; 23 aprile 1987, n. 146).
    Inoltre,    dall'attuale    assetto    normativo,    emerge   una
  ingiustificata  ed  irragionevole  disparita'  di  trattamento  dei
  soggetti  destinatari  di  atti amministrativi emanati da autorita'
  amministrative  che  siano  investite  anche  di compiti di polizia
  giudiziaria, nella misura in cui queste ultime verrebbero a godere,
  anche    quando   agiscono   nella   qualita'   di   una   pubblica
  amministrazione,  di  prerogative  che  non  troverebbero effettiva
  giustificazione  nella  particolare  natura della loro attivita' in
  materia di accertamento e repressione dei reati.

    5. - Le prospettate questioni di legittimita' costituzionale sono
  altresi' rilevanti. Infatti, allo stato, il collegio:
        non puo' accogliere il ricorso, poiche' non emergono elementi
  per vincere la presunzione di legittimita' dell'atto amministrativo
  impugnato,  il  quale  asserisce  la  sussistenza  dell'obbligo  di
  segreto come presupposto del diniego;
        non  puo'  respingere il ricorso, in quanto non e' imputabile
  al ricorrente l'inadempienza ad un onere probatorio, posto che tale
  onere  non  sussiste nel processo amministrativo, qualora si tratti
  della  dimostrazione  di  fatti  e  circostanze che (come e' palese
  nella  specie)  non  sono nella disponibilita' dell'interessato, ma
  che rientrano nel dominio dell'amministrazione;
        non  puo'  esercitare il potere acquisitivo (attribuito dalla
  legge   al   giudice  amministrativo  proprio  per  sopperire  allo
  squilibrio,  normalmente esistente nel processo amministrativo, tra
  la  parte  pubblica  e  quella  privata  nella  disponibilita'  del
  materiale  utile  ai fini della decisione), atteso che l'esecuzione
  dell'istruttoria  (ed  in  particolare l'ordine di acquisizione dei
  documenti)  potrebbe  comportare  la  divulgazione  di informazioni
  coperte  da segreto, laddove l'obbligo di segreto e' vincolante per
  l'amministrazione  resistente  e  non  e'  derogabile  dal  giudice
  amministrativo e nei confronti del giudice amministrativo.
    Sicche',  allo stato, il collegio non sarebbe nella condizione di
  assumere  alcuna  determinazione e neppure potrebbe (come e' ovvio)
  emettere una pronuncia di non liquet.

    6. - Per  gli  stessi  motivi sopra esposti risultano rilevanti e
  non   manifestamente   infondate   le   questioni  di  legittimita'
  costituzionale:
        dell'art. 25,  comma  5,  della  legge n. 241 del 1990, nella
  parte   in   cui   non  prevede  la  possibilita'  per  il  giudice
  amministrativo   -   chiamato   a   decidere   sulla   legittimita'
  dell'operato  dell'amministrazione  in  tutti  i casi di diniego di
  accesso,  ivi compresi quelli previsti dall'art. 24, comma 1, della
  stessa   legge   n. 241   -   di  acquisire  atti  ed  informazioni
  dall'autorita'   giudiziaria  competente,  ai  sensi  dell'art. 117
  c.p.p.  ed in deroga al divieto posto dall'art. 329 c.p.p., al fine
  di   accertare   la   sussistenza  effettiva  del  segreto  opposto
  dall'autorita' amministrativa a fondamento del proprio rifiuto;
        dell'art. 44,  comma  1,  del regio-decreto n. 1054 del 1924,
  applicabile   nei   giudizi  innanzi  ai  tribunali  amministrativi
  regionali  in  forza  del  rinvio  operato dall'art. 19 della legge
  n. 1034  del  1971,  nella parte in cui non prevede la possibilita'
  per  il  giudice  amministrativo  di acquisire atti ed informazioni
  dall'autorita'   giudiziaria  competente,  ai  sensi  dell'art. 117
  c.p.p.  ed in deroga al divieto posto dall'art. 329 c.p.p., al fine
  di    decidere    una   controversia   rientrante   nella   propria
  giurisdizione.

    7. - Tutto  cio'  considerato,  va  disposta  la  sospensione del
  giudizio   in  corso  e  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
  costituzionale,  per  la decisione sulle questioni pregiudiziali di
  legittimita' costituzionale, siccome rilevanti e non manifestamente
  infondate,   mandando   la   segreteria   per  gli  adempimenti  di
  competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.